"A Giarre non c'è niente"

"A Giarre non c'è niente", "Giarre è una città morta, spenta". Un miliardo di volte avrò sentito pronunciare queste frasi dai giarresi. Ma sarà davvero così? Secondo me no, o non completamente. Ci sono potenzialità iniziative e ci sono pure molte persone qualificate e di buona volontà in grado di rendere migliore la città. A mio avviso, quello che piuttosto manca è il senso di appartenenza, la coesione sociale, un'identità comune e sentita. Chi organizza qualcosa la organizza per i suoi e tra i suoi; ci sono varie iniziativee ma ognuna chiusa nel proprio piccolo mondo. Mi viene in mente quella frase famosa dopo l'unità d'Italia: "L'Italia è fatta, adesso bisogna fare gli italiani". Credo che valga anche per Giarre: "La città c'è, bisogna fare i giarresi". D'altra parte quanti di voi sono giarresi da più generazioni? Dei miei amici e conoscenti una buona parte proviene da altri comuni, il giarrese doc," di S.Isidoro", è una rarità. Questo contribuisce all'assenza di un'identità comune. Giarre ha avuto nel corso dei decenni uno sviluppo demografico ed edilizio che non è andato alla pari con uno sviluppo della coesione sociale. Questa città per molti non è la città dei propri padri, sovente non se ne conoscono neppure le strade. Un tempo le persone erano conosciute per il nomignolo e non per il nome anagrafico così come in ogni quartiere o rione c'erano dei personaggi caratteristici: il barbiere che per 50 anni ha avuto il salone sempre nello stesso posto, il commerciante figlio di commercianti, il sacerdote parroco per decenni della stessa chiesa...Tutto ciò si è perso e allora bisogna creare qualcosa di nuovo. Per questo credo che accanto alle opere pubbliche occorre che le istituzioni, i cittadini, le scuole, le associazioni, anche giornali e tv "lavorino" sul sociale, per creare rete, per creare i giarresi. Mi piace quindi riportare una pagina tratta dalla rivista "Animazione sociale" che quando l'ho letta è riuscita quasi a commuovermi, perchè pensavo che nella mia città servirebbe proprio questo. Da questa pagina è nato il nome di questo blog
Da più parti viene avvertita un'inedita domanda di spazi "sociali". Luoghi dove rallentare, incontrarsi e riflettere, ma anche divertirsi, progettare e fare insieme. Luoghi accessibili, non solo in termini fisici, ma anche perchè accoglienti, aperti a persone e gruppi diversi, che non richiedono un'appartenenza totalizzante, ma rappresentano per tutti un appiglio contro la solitudine, la rinuncia ai sogni, il senso di impotenza. Luoghi che promuovono cittadinanza, non assistenzialismo. Luoghi dove sia possibile co-costruire piccoli ma significativi percorsi di speranza e di futuro.
Oggi si investe molto sulla riqualificazione di piazze, aree verdi, edifici. Ma che dire di tutto il lavoro - meno visibile ma più sostanziale - necessario per il miglioramente della qualità della vita dei cittadini, per lo sviluppo del senso di appartenenza alla comunità, per l'incremento degli interscambi e della coesione sociale? Questa infatti è la questione nodale di ogni riqualificazione, perchè solo l'integrazione tra interventi strutturali e interventi sociali dà la misura della capacità di un territorio di avviarsi a uno sviluppo sensato e sostenibile. Spazi curati, ma non progettati in modo partecipato, non rispondenti a bisogni condivisi con i cittadini, spesso restano inutilizzati, sono teatro di vandalismo, diventano cattedrali nel deserto. Esito infausto di progetti che pensano ai cittadini come utenti e non come co-costruttori di iniziative che rispondano alla domanda di nuovi legami sociali. E tuttavia i processi di sviluppo sociale solo in parte avvengono in modo spontaneo. A partire dai segnali di ricerca di nuove forme di socialità, tali processi hanno bisogno di accompagnamento e sostegno. In contesti segnati da individualismo, ripiegamento sulla propria famiglia, abbandono degli spazi collettivi, le pratiche di cittadinanza sono in controtendenza. A Torino l'esprienza della "Cascina Roccafranca" ha riconsegnato uno SPAZIO PUBBLICO a un quartiere della periferia attraverso un processo che coinvolge cittadini, associazioni, pubblica amministrazione nel ricostruire il senso dell'abitare. Una "Casa" che è SPAZIO PUBBLICO perchè qualificata dall'accoglienza, dall'ascolto, dalla libera aggregazione e dall'auto-organizzazione degli abitanti".

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